giovedì 22 maggio 2014

...cambio!

Dopo mesi passati senza scrivere torno a calcare i sentieri di questo blog per "chiudere" la sezione brasiliana e trasformare questo spazio in un contenitore che, di volta in volta, ospiterà qualcosa di diverso e di nuovo.

Infatti, a breve, presenterò qui il workshop che condurrò al 53° Convegno Nazionale di Cem Mondialità, a cui siete tutti invitati a partecipare.

Intanto date una sbirciata al programma che male non fa: DEPLIANT PROGRAMMA COMPLETO


sabato 21 dicembre 2013

Passo e...


Domani alle ore 18.30 ho l’aereo da Goiania a Sao Paulo, e poi da Sao Paulo a Milano Malpensa, ora di arrivo stimata per le 13.10 di Lunedì. Ancora non me ne sono reso conto che sto per tornare. O forse ancora non mi sono reso conto di essere stato in Brasile per qualche mese. Se Lunedì mi svegliassi nel mio letto e qualcuno mi dicesse che è stato solo un sogno, probabilmente gli crederei.

“Cosa ti porti in Italia del Brasile?” mi chiedono tutti. Facile, le persone. L’accoglienza di questo popolo è fuori dal comune, ti senti subito a casa, in famiglia. Per questo andarsene è così difficile. In questi giorni di addii scopro cosa è la “saudade” brasiliana.

Ieri è finita la seconda e ultima settimana di Colonia de Ferias, che meglio non poteva andare. Abbiamo raggiunto picchi di 80 bambini, ed è andato tutto per il meglio grazie anche al Grupo dos Educadores (i “nostri” ragazzi più grandi) che ci ha aiutato moltissimo, prendendo spesso in mano le redini della situazione. La speranza è che anche senza di noi, ma soprattutto senza la Silvia, alcuni di loro portino avanti il gruppo e le attività.

Insieme al grest, le ultime due settimane sono state caratterizzate da molte feste di “despedida”, ovvero di saluti prima della nostra partenza. Saudade a frotte.

Vi ricordate delle Lava Pé di cui vi avevi già parlato? Quelle simpatiche formichine che come dei ninja-kamikaze si arrampicano in massa sui piedi e sulle gambe e poi mordono? Ebbene, qualche giorno fa ho pensato bene di salire a piedi pari su un loro formicaio. La mezzora successiva è stata la più brutta della mia vita.

Nonostante il grest siamo riusciti a fare qualche ultima visita nelle famiglie. Ad una di queste verrà presto consegnata una carrozzina elettrica, perché il figlio maggiore è disabile e la madre, che si occupa di lui, non ha più le energie per portarlo su è giù per il quartiere con la carrozzina normale, peraltro mezza scassata. Siamo poi andati a cercare una coppia che vive in una baracca in riva a un rigagnolo. Lui è un tipo a posto, mentre lei è schizofrenica, e fatica ad avere una vita normale. Vivono vicino al fiumiciattolo perché quello è il loro bagno.

Nel tornare da questa ultima visita la macchina non parte. A prima vista sembra sia ingolfata, Corrado dice che ogni tanto succede. Facendo gli uomini apriamo il cofano, e dentro di me penso che non servirà a nulla dal momento che non so distinguere il motore dalla ruota di scorta, ma l’orgoglio maschio richiede almeno un tentativo. Tento una classica frase ad effetto, del tipo “mannaggia, potrebbe essere lo spinterogeno!”, poi Corrado nota un tubo che sembra staccato. Lo infiliamo al suo presunto posto, proviamo a mettere in moto e il motore parte. Giuro, è la prima volta in vita mia che sollevare il cofano serve a qualcosa.

Sempre riguardo alla macchina, una vecchia Uno brasilian-style, annuncio con orgoglio che ho avuto il piacere di guidarla. Mi sembrava di essere tornato ai tempi della Panda. Ovviamente il tutto senza patente, altrimenti che gusto c’è?

Le tante feste di despedida sono occasioni in cui tanti mi parlano di Dani e mi chiedono di salutare la famiglia. Sempre con tanti sorrisi, perché Dani era sempre capace di farti sorridere.

Oggi in quartiere è arrivato Babbo Natale a consegnare i regali ai bambini. Ho chiesto a qualche bambino e pare sia proprio quello vero. Soprattutto per le famiglie più povere è un occasione speciale, mentre per il “prefeito” (sindaco) è l’occasione per raccogliere voti in vista delle elezioni del prossimo anno. E siccome il prefeito in persona ha partecipato alla consegna dei regali, svoltasi in un campo da calcio del quartiere, nei giorni precedenti hanno ripulito le strade adiacenti e passato della calce bianca sui marciapiedi per farli sembrare più nuovi. Solo che Paolo non lo sapeva e aveva lasciato la macchina parcheggiata davanti a casa:
 
 

martedì 10 dicembre 2013

C'era una volta un padre


In contemporanea con l’apertura della stagione alla Scala di Milano, che esordiva con “La Traviata”, i nostri ragazzi del “Grupo dos Educadores”, capitanati dalla Silvia, hanno messo in scena il loro spettacolo, intitolato “Jovens sonhando um mundo melhor” (Giovani che sognano un mondo migliore). Silvia regia e suggeritrice, Fabio scenografia, musica, luci e effetti speciali, il sottoscritto riprese video, fotografie e battimani. Un successone, pubblico numeroso e ragazzi davvero talentuosi.

Il calendario mi ricorda che ci stiamo inesorabilmente avvicinando al Natale, ma i 32° C di temperatura mi rendono alquanto difficile credergli. Mi schianterò contro la verità con il primo passo fuori dall’aereo a Milano.

Storia di un padre:
E. aveva 43 anni ed era padre e marito. Ma soprattutto padre. Aveva quattro figli, di cui una nel progetto delle adozioni a distanza. Vi ho già parlato di lui nell’ultimo post, è stato ucciso nel quartiere di Liberdade circa dieci giorni fa’. Ha vissuto ed è morto come padre. Aveva saputo che il figlio tredicenne era entrato in un brutto giro, e che un signorotto della droga lo stava usando per i suoi traffici. Dopo aver parlato con figlio, il padre capì che uscire dal quel brutto giro non era semplice, e soprattutto che la volontà del figlio non bastava. Fu così che un giorno, circa dieci giorni fa’, E. si è fatto coraggio ed è andato dal signorotto, chiedendogli di lasciare in pace il figlio. In risposta ha ricevuto sei colpi di pistola. Era un buon padre e se n’è andato come il migliore.

In queste ultime settimane ci stiamo dedicando più del solito alla traduzione delle letterine che le famiglie delle adozioni mandano ai padrini italiani in occasione del Natale. Si trova un po’ di tutto, e ogni tanto servirebbe una perizia calligrafica, ma armati di pazienza si riesce nell’impresa.

In una botta di mondanità, venerdì scorso, siamo andati al cinema nel centro commerciale più “classe A” di Goiania. Abbiamo assistito a Thor 2. Diciamo che la complessità non esagerata dei dialoghi ha facilitato la mia piena comprensione della trama, che posso per voi qui riassumere: c’è un tizio biondo con un martello molto grosso, se un cattivo lo fa arrabbiare glielo da in testa e vince.

Per farvi vedere un piccolo ma intimo pezzo del mio mondo ho creato e pubblicato una sorta di video della mia camera: La Mia Camera Brasiliana
Grazie cari coinquilini che mi avete sopportato e supportato durante la creazione.

Essendo entrati nelle due settimane di Colonia de Ferias e nelle ultime due settimane di permanenza qui in Brasile il tempo libero è calato drasticamente, siamo sempre incasinati tra lavori e inviti vari, quindi questo potrebbe essere l’ultima o una delle ultime volte che vi scrivo. E si udì un boato dalla folla, formato dalle parole “finalmente”, “era ora” e “taci”.

Ci sarebbero tante altre cose da raccontare. Dovrei raccontarvi dei mille sorrisi che ho incontrato, di qualche pianto, di come fatico con il portoghese ma alla fine mi faccio sempre capire, del funky e del forrò, di partite a calcio, di famiglie più numerose della mia che vivono in una stanza, di Fabio che ormai è un cantante famoso, dei 4 accordi che ho imparato con la chitarra che suono tutto il giorno, del compleanno di Padre Corrado, di tantissimi ragazzi “custosos” (faticosi) e fantastici, di quanto sia incapace a disegnare, della luce marziana che avvolge tutto nell’ora del tramonto, di come sia probabilmente riuscito a sbagliare TUTTE le misure per le infradito che ho preso per la Giulia, della “saudade” brasiliana che accompagna sempre un sorriso ad una lacrima, dei “litrao” di birra, dei tanti discorsi con chi ha conosciuto Dani, della “comida” brasiliana che mi ha fatto ingrassare, delle ragazzine che mi chiedono se facciamo cambio di occhi, di tutti quelli che mi hanno detto che con i baffi stavo male, di tutti quelli che mi hanno mentito dicendomi che con i baffi stavo bene, delle volte in cui ho dovuto cucinare, di quando ho conosciuto Jefferson che è un menino de rua e sua figlia, di tutte queste e altre cose che però non ho il tempo di scrivere e vi racconterò a voce, annoiandovi come sempre, ma con classe.
 
 
 
 

martedì 3 dicembre 2013

Sapore di Cocco


Iniziamo con una buona notizia: il dentifricio che ho comprato NON è al cocco. Pensavo di non riuscire a trovare nulla che non ne contenesse almeno una minima parte. Finalmente!

Continuiamo con una cattiva notizia: il dentifricio che ho comprato NON è al cocco, ma fa ancora più schifo. Spero di non aver preso la pasta per dentiere.

Igiene orale a parte, dopo l’avventura in Mato Grosso abbiamo ripreso le solite attività durante la settimana: reforços, preparazione dello spettacolo teatrale, visite alle famiglie delle adozioni, chitarra (credo di aver imparato un’altra scala, ma non mi ricordo il nome, queste maledette note hanno tutte nomi simili). Inoltre stiamo iniziando a preparare le due settimane di Colonias de Ferias che faremo a Dicembre, appena i ragazzi finiscono la scuola. Tema: Peter Pan. Per farci venire qualche spunto guardiamo il cartone della Disney, di cui non ricordo molto a eccezione del coccodrillo e che non mi era mai piaciuto, senza sapere bene perché. Capisco subito perché non mi era piaciuto: il protagonista mi sta tremendamente sulle balle. Ma riscopro un valore che da piccolo non avevo colto: un sacco di personaggi, tra cui Capitan Giacomo Uncino, hanno i baffi. Long live Movember.

A proposito. Il Movember è finito. La mattina del 1 Dicembre i miei baffi sono andati in letargo, ma torneranno puntuali il prossimo 1 Novembre. In questa edizione la mia squadra (http://moteam.co/the-sunday-s-mo-cultural-circol) ha raccolto la bellezza di £20, circa €30. Grazie a chi ha donato.

Jardim dal Oliveiras, il nostro quartiere, fa parte della periferia più lontana di Goiania. E mi hanno detto che lo stato del Goias, di cui Goiania è la capitale, è lo stato con il più alto numero di omicidi del Brasile. In effetti, solo nell’ultima settimana, ce ne sono stati due qui vicino. Uno a Liberdade, un quartiere vicino in cui andiamo a piedi tutti i mercoledì per il reforço. Hanno ucciso un padre e marito, probabilmente per un debito o una questione di droga, le due cause più frequenti. L’altro proprio qui vicino, in un bar. Il barista, detto “il cabeludo”, per non avere problemi ha spostato il cadavere fuori dal locale prima di chiamare la polizia. Insieme a violenza e droga, la terza piaga di queste periferie è l’alcolismo. E noto una cosa: nessuno lo nasconde. Trattano l’alcolismo come una malattia, non come una colpa dell’alcolizzato. Dicono “mio fratello è alcolista” esattamente come dicono “mio fratello ha un tumore”. Manca quell’accezione negativa nostra, o meglio manca l’accusa intrinseca all’alcolizzato, colpevole di volerlo essere.

Camminando per la strada mi capita di assistere a un esorcismo. Accade in una delle decine di chiese evangeliche sparse per il quartiere. Non sembrano delle vere chiese, assomigliano più a dei negozi. Sono dei piccoli saloni o stanze aperti/e verso la strada, con un’insegna che indica a quale chiesa evangelica si fa parte (“Santa Chiesa di Dio”, “Chiesa di Gesù nel Mondo”, “Assemblea di Dio”, “Chiesa Evangelica Universale”, Chiesa Evangelica Gesù ti Ama”, etc etc), pieni di sedie e una postazione con microfono o addirittura un palco in fondo. Si calcola che di queste chiese/movimenti ne nasca una ogni due giorni. Basta un pastore (non un prete o un sacerdote, un pastore, quindi potrei aprirne una io domani se volessi) che affitti un locale e inizi a predicare. E ovviamente a richiedere il “dizimo”, la decima parte di tutto ciò che un fedele guadagna che deve donare alla chiesa. Comunque, passo davanti a una di queste robe e vedo uno scalmanato che si dimena e grida, tenuto seduto a forza da un tipo vestito bene, mentre il pastore di turno, con una bibbia in mano e una mano sulla fronte dell’indemoniato urla preghiere e affini. La scena dura un po’, io evidentemente mi stufo prima del demone infestante e proseguo per la mia strada.

Con Paolo e con Fabio ho partecipato a due degli incontri mensili in cui vengono consegnate le ceste basiche alle famiglie delle adozioni. Essendo divisi per quartieri (ogni giorno per una settimana al mese viene fatto un incontro in un quartiere diverso) i gruppi di genitori risultano essere di 20/25 persone. Ad Ottobre avevo partecipato ad un altro di questi incontri, per un totale di tre, ognuno in un quartiere diverso e quindi con persone diverse. L’incontro funziona così: “palestra”, ovvero formazione, su qualunque tema che si pensi possa essere utile a queste famiglie, di circa 30/40 minuti, poi eventuali avvisi o richieste e infine consegna delle ceste. Il tutto in un clima sicuramente particolare, ma spesso più gioioso di come mi sarei aspettato, almeno a prima vista.

La cesta, di cui vi ho già elencato il contenuto, non è esattamente leggera. Sicuramente più di 10 Kg. Ebbene, su tre incontri, ovvero circa 60/70 persone, hanno partecipato tre uomini. A questi tre si aggiungono altri forse dieci che non hanno partecipato all’incontro, mandandoci la moglie, ma almeno si sono fatti trovare all’uscita per portare la cesta a casa. Ma in molti casi il marito/compagno di turno è a casa bello comodo.

Vi racconto il caso più eclatante. Giovane donna, alta, magrissima, in cinta di 9 mesi, una pancia immensa su un corpicino esile e snello, sola. Si vede che camminare, sedersi e alzarsi, insomma muoversi, le costa fatica. A fine riunione ci informiamo e scopriamo che pensava di andare a casa a piedi. Abita a almeno un paio di chilometri, proprio nell’unico punto scosceso del quartiere, con 2 strade piuttosto ripide. Ci offriamo di darle un passaggio con la macchina e lei accetta di buon grado. Arriviamo a casa, scarichiamo lei e la cesta e Paolo saluta il marito che era seduto davanti a casa a bersi una birra con gli amici. In effetti l’orario era perfetto, con il sole che tramontava e spargeva una luce meravigliosa, accompagnata da una piacevole brezza. Mica scemo. Magari un filino stronzo si, ma scemo no. Io e Paolo ripartiamo, allibiti, io soprattutto, meno abituato di lui a questo popolo dai comportamenti così contraddittori.

Ma diceva qualcuno una volta, sicuramente con parole più belle delle mie: di una persona non si può prendere ciò che piace e lasciare il resto, sputando il nocciolo come se fosse un’oliva, ma bisogna prendere tutto, pregi e difetti. Lo stesso vale per un popolo, per un paese. Di questo non voglio sputare nulla, neanche quando in bocca mi esplode un sapore pungente e amaro. O ancora peggio, di cocco.

 
Anche la foto simboleggia bene le due facce di questo paese. Clesio e Kesley, fratello e sorella, vengono a uno dei reforços e partecipano al programma delle adozioni a distanza. Mentre Kesley affettuosamente mi manda un cuore, Clesio mi manda coraggiosamente a f*****o.  Due bei tipi.


martedì 26 novembre 2013

Mato Grosso - Parte Seconda: Fiumi, foreste e pianure

Racconto breve sull'origine del nome:
Volevano chiamarlo Mato, in origine. Solo Mato, che significa foresta. Poi qualcuno ha avuto la brillante idea di misurarlo. A metà neanche, stanchissimo, quel qualcuno si fermò e disse: facciamo così, diciamo che è grosso e chiudiamola qui. Il personaggio Novecento di Baricco avrebbe aggiunto anche "in culo le misure!" ma non potrei mai scrivere una volgarità simile sul mio blog.

La cosa interessante è che se gli Xavantes avessero mai pensato di misurare la loro regione, sarebbe veramente andata a finire così, perché usano i numeri solo fino al 10. Dal numero 11 in poi dicono "molti". Appena l'ho saputo mi sono venuti in mente Aldo, Giovanni e Giacomo quando fanno il vocabolario sardo. Geniali.

Giorno 2 - Sabato

Finita l'esperienza con gli indios, dopo pranzo, ci spostiamo dall'aldeia verso Novo Sao Joaquem, una cittadina a circa 90 Km di distanza. Viaggiamo con il solito pulmino, e con noi vengono anche tre ragazzi del villaggio.
Durante il viaggio vedo: un aquila, una piccola anconda, due bellissimi pappagalli e un armadillo.
Arrivati a destinazione visitiamo la chacara in cui l'Operazione Mato Grosso svolge attività di oratorio e di collegio con anche ragazzi Xavante. L'obiettivo è quello di preparare questi ragazzi al mondo che li sta assorbendo, senza però perdere la propria identità e le proprie tradizioni.
Oggi e domani è la festa dei ragazzi dell'oratorio, a cui partecipano circa 80 dei 120 totali. Ceniamo con loro, guardiamo lo spettacolo teatrale che hanno preparato, aiutiamo a lavare i piatti e poi torniamo verso le nostre stanza. Siamo in stanza con Tobia, un ragazzo di Vicenza di 26 anni che sta finendo il suo servizio di sei mesi, che ci racconta un po' come funzionano le cose da quelle parti.
Sempre per il sentirsi figo, scrivo queste righe sulla mia Moleskine mentre sono su un'amaca, sotto un portico, di sera e con la luna piena, con davanti a me il verde della foresta.
Dimenticavo: prima di cena ho visto un formichiere.

Giorno 3 - Domenica

La festa dell'oratorio procede, al mattino grandi giochi a squadre con premi finali, poi pranzo tutti insieme e saluti. I ragazzi vengono accompagnati a casa con gli scuolabus. Un gruppo di ragazzi abita piuttosto lontano, a circa 25 Km (ovviamente tutta strada sterrata), in un paesino che sorge vicino a un fiume abbastanza bello. Tobia e uno degli altri educatori ci chiedono se abbiamo voglia di andare anche noi, si potrebbe anche fare il bagno in fiume. Ovviamente andiamo.
Essendo il gruppo piccolo e tutti gli altri pulmini occupati si va con il pick-up. Tre posti davanti e gli altri nel cassone a prendere l'aria in faccia. Il viaggio dura una mezz'ora abbondante, ma è talmente divertente che il tempo vola. Per diverse volte saliamo e poi scendiamo, cambiando "valle", e ogni volta che si è nel punto più in alto si vede l'immensità del mondo. Spazi immensi, a perdita d'occhio. Provo a fare qualche foto, ma mi accorgo subito che non riuscirò a rendere l'idea di quanto ci si senta un granello di sabbia di fronte a quelle visioni.
Arrivati al paese lasciamo giù i ragazzi (alcuni ci raggiungeranno al fiume) e ci dirigiamo verso l'acqua. Prima, mentre parcheggiamo e salutiamo una famiglia, assaggiamo finalmente una Jaca, un frutto enorme, esternamente verde a puntini e ruvido. La gente cerca di non passare mai sotto un albero di Jaca, si dice che ricevere un frutto in testa non sia piacevole.
Mi informo riguardo al nome del fiume. "Rio das Mortes", il fiume delle morti. Chiedo perché si chiami così. Semplice, ci muore un sacco di gente.
Ma noi non avremo problemi, il nome si riferisce al periodo Gennaio/Febbraio, quando dopo mesi di piogge il fiume si ingrossa e crea correnti fortissime, molto pericolose. Noi ne conosceremo solo la versione mansueta del Rio.
Già pronto con il mio costume slip della Turbo nero con un teschio sulla chiappa destra, mi tuffo eroicamente nel Fiume delle Morti (apprezzabile la ricerca della completezza in questo nome, volevano chiarire che non si muore solo in un modo). Vivo, in barba alla nomenclatura iettatrice.
L'acqua è addirittura calda.
Al ritorno la famiglia che abbiamo salutato in precedenza ci offre una sostanziosa merenda, ci abbuffiamo e ringraziamo. L'accoglienza di queste persone è sempre esagerata.
Viaggio di ritorno ancora più bello che all'andata grazie al tramonto in atto.
Arriviamo a casa, birretta obbligatoria con Tobia, doccia e cena con i ragazzi Xavante, gli unici rimasti lì (per loro funziona come collegio), una ventina circa. Ragazzi davvero speciali, genuini, ancora capaci di divertirsi per le piccole cose, felici solo per il fatto di stare insieme. Ho provato a dirgli che tra qualche giorno in Italia esce la Play Station 4, ma chissà come mai non li ho visti molto scossi dalla notizia.
Me ne vado a letto distrutto, ma felicemente consapevole di aver vissuto una di quelle giornate indimenticabili.

Giorno 4 - Lunedì

Sveglia alle 4, primo viaggio in pullman di due ore su strada sterrata, al buio, in piedi perché i posti a sedere erano finiti, con l'aria condizionata sparata sulla cervicale. Altro pullman per le successive sette ore di viaggio con posto a sedere, credo di avere dormito almeno 6 ore e 58 minuti.
Questo giorno posso dimenticarlo senza problemi.

Fine

P.s.
Mentre scrivo questo post, Paolo mi chiama e mi chiede se ho il pc acceso e se gli posso passare delle foto che ho fatto i giorni scorsi. Gli rispondo di si, che ho già il pc acceso perché ci sto lavorando. E Corrado dall'altra stanza grida: "LAVORANDO!", come per dire "si certo, come no". Per me è bello sentirsi così apprezzato.